Trattamento dell’instabilità di spalla
Dall’intervento a cielo aperto all’artroscopia
- Settembre 5, 2020
La tecnica artroscopica, sempre più sofisticata, consente un intervento di stabilizzazione di spalla efficace e mini-invasivo.
Quella della spalla è l’articolazione più complessa e una tra le più mobili del nostro corpo, grazie alla testa sferica dell’osso del braccio (l’omero) che si articola con la cavità glenoidea della scapola. La stabilità di questa articolazione è resa possibile dalla presenza di alcune strutture anatomiche: i muscoli della cuffia dei rotatori, i legamenti gleno-omerali e il cercine glenoideo.
Quando queste strutture non sono più in grado di tenere “in sede” la testa dell’omero, si verifica quella che viene comunemente definita instabilità di spalla, nota anche come lussazione abituale o ricorrente, una condizione cronica che determina la dislocazione dell’articolazione della spalla.
Quali sono le cause e i fattori di rischio dell’instabilità di spalla?
In genere la lussazione della spalla si verifica in seguito a un violento trauma, che nella quasi totalità dei casi provoca il distacco del cercine glenoideo e dei legamenti (lesione di Bankart).
Inoltre, in circa l’80% dei casi la lussazione causa una frattura da impatto a livello della testa omerale, definita frattura o lesione di hill-sachs se si verifica nella parte posteriore dell’omero, lesione di mc-laughin se avviene nella parte anteriore.
Le categorie più a rischio di instabilità sono rappresentate dagli atleti che praticano sport di contatto (rugby, basket, calcio e judo) e dalle persone che presentano lassità congenita dei legamenti della cuffia dei rotatori (perlopiù adolescenti e donne).
Forme di instabilità minore (o dolorosa) si possono verificare negli atleti che praticano sport di lancio (per esempio il tennis, il volleyball e il baseball): lo stress articolare causato da movimenti ripetuti della spalla può infatti provocare un incremento della lassità della capsula articolare e una serie di alterazioni che determinano la comparsa di dolore e la perdita di efficacia del gesto atletico. In questi casi, traumi anche di lieve entità possono procurare una lussazione o una sublussazione della spalla.
Come viene diagnosticata questa condizione?
La diagnosi di instabilità di spalla viene posta dallo specialista ortopedico, che durante la visita valuta la cosiddetta anamnesi (sport praticati, eventuali traumi e sintomi) del soggetto ed esegue test specifici per verificare la presenza di lassità congenita.
Alcuni esami strumentali consentono di valutare in modo approfondito il danno prodotto dalla lussazione:
- l’ecografia dinamica può evidenziare la presenza di incisura di hill sachs e di eventuali sublussazioni
- la radiografia (RX) consente di identificare la presenza di eventuali lesioni ossee
- la risonanza magnetica (RMN), se eseguita tempestivamente, consente di definire il danno al cercine, ai legamenti e alla capsula articolare
- la tomografia computerizzata (TC) permette di misurare i danni ossei della testa dell’omero e/o della glena.
Quando è necessario l’intervento di stabilizzazione della spalla?
Il primo approccio all’instabilità di spalla è di tipo conservativo e si avvale dell’applicazione un tutore e di un programma riabilitativo specifico finalizzato a rinforzare i muscoli della cuffia e il deltoide, e a stabilizzare la scapola.
Nei casi in cui la riabilitazione non sia sufficiente o in presenza di spalla dolorosa e limitazione dell’attività lavorativa/sportiva con stato di apprensione persistente da parte del paziente, è necessario ricorrere a un intervento chirurgico di stabilizzazione dell’articolazione finalizzato a migliorarne la funzionalità e prevenire future dislocazioni.
La gestione chirurgica dell’instabilità della spalla ha subito una significativa evoluzione, con rapidi progressi negli ultimi decenni grazie al passaggio da procedure in aperto a tecniche artroscopiche che hanno consentito la gestione di condizioni patologiche in precedenza non curabili.
Il chirurgo ortopedico valuta il tipo di intervento chirurgico più idoneo al singolo caso sulla base dell’età del soggetto, del suo livello di attività e dell’entità della lesione.
Se il danno è limitato a capsula e legamenti, l’intervento viene eseguito generalmente in anestesia locale e in artroscopia, una tecnica mini-invasiva che prevede l’esecuzione dell’atto chirurgico attraverso piccole incisioni cutanee, grazie all’ausilio di una fibra ottica (l’artroscopio) inserita nell’articolazione della spalla e collegata a una telecamera ad alta risoluzione e a un monitor.
L’intervento tradizionale a cielo aperto in anestesia generale (di Latarjet) richiede incisioni maggiori ed è in genere riservato ai casi con danni ossei importanti.
Questo è confermato anche da un recente studio pubblicato sul Giornale dell’accademia americana di chirurgia ortopedica, in cui viene proposto un algoritmo di trattamento in base all’entità del danno osseo, evidenziando che la stabilizzazione artroscopica della spalla si rivela sufficiente nella maggior parte dei casi in cui la perdita di osso glenoideo è minima (con tassi di lussazione ricorrenti vicini al 4%), mentre le procedure in aperto sono in genere indicate in pazienti con danno osseo glenoideo superiore al 20%.
Quali sono i vantaggi della stabilizzazione artroscopica?
L’artroscopia di spalla fu introdotta per la prima volta nel 1931, ma solo nel 1980 è stata descritta la prima procedura di stabilizzazione artroscopica della spalla. Da allora, sono stati fatti passi da gigante e le tecniche artroscopiche sono diventate sempre più sofisticate.
Durante l’intervento di stabilizzazione artroscopica della spalla si effettua la ritensione della capsula articolare e dei legamenti di rinforzo della stessa, mediante l’utilizzo di mini ancorette e di fili di sutura ad alta resistenza.
Contestualmente può essere eseguita anche la chiusura della frattura di hill-sachs (remplissage).
L’intervento di stabilizzazione di spalla in artroscopia presenta alcuni vantaggi rispetto alla chirurgia tradizionale:
- anestesia loco-regionale
- incisioni molto piccole
- dolore post-operatorio ridotto
- cicatrizzazione più rapida
- minor rischio di infezioni
- incidenza di complicanze pressoché irrilevante.
Per quanto riguarda la possibilità di recidiva, l’intervento in artroscopia presenta un tasso che si attesta intorno al 10%; seppure questa percentuale sia superiore a quella della chirurgia in aperto va sottolineato che nell’intervento di Letarjet il tasso di recidiva si abbassa (3-5%) a fronte però di una maggiore incidenza di complicanze (7-15%).
Quando è utile un approccio conservativo?
Le lesioni meniscali di origine degenerativa possono essere trattate mediante un approccio conservativo, finalizzato a ridurre il dolore e a ripristinare la funzionalità articolare, senza operare il ginocchio.
- Protocollo R.I.C.E., acronimo di rest, ice, compression, elevation (ossia riposo, ghiaccio, compressione ed elevazione), da applicare subito dopo l’insorgenza di una lesione acuta
- Terapia medica con analgesici e antinfiammatori
- Trattamento fisioterapico e riabilitativo, associato a limitazione dell’attività fisica e riduzione del peso corporeo
- Terapia infiltrativa con cortisone e acido ialuronico
Che cosa succede dopo l’intervento chirurgico?
Dopo l’intervento alla spalla operata sarà necessario mantenere per 25-35 giorni un tutore ortopedico e iniziare la riabilitazione al fine di recuperare prontamente la normale quotidianità.
Il soggetto operato potrà vestirsi e svestirsi, sfogliare un giornale e scrivere, può anche fare la doccia con cerotti impermeabili dopo 3 giorni dall’intervento, se questo è stato effettuato in artroscopia.
La ripresa dell’attività sportiva può avvenire solo dopo la conclusione del percorso riabilitativo e in seguito al benestare dello specialista ortopedico.